Padre Nostro

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Avvento 2004

DOMENICA I DI AVVENTO ANNO A

“QUANDO PREGATE DITE…” (Lc 11,2)

CON IL PADRE NOSTRO GESU’ DETTA “LA CARTA D’IDENTITA’ DEI FIGLI DI DIO”

Il “Padre Nostro” è in assoluto una delle pagine più celebri dei Vangeli ed è divenuto come un respiro di lode e di supplica che da secoli sale verso Dio da tutte le chiese del mondo, da tutte le case e i cuori cristiani. Potremmo dire che il “Padre Nostro” è la preghiera tipo del cristiano, quella che rivela quale spirito deve animare il seguace di Gesù nel rapporto personale con Dio. Il Signore ci ha insegnato questa preghiera perché la penetriamo sempre di più, perché vi scopriamo sempre di più il mistero del suo amore, dell’amore del Padre.

Come siamo abituati a dire il Padre Nostro ?

Ci siamo chiesti a chi ci ha insegnato a chiamare Dio col nome di Padre?

Che cosa significano per noi quelle parole che ripetiamo così spesso?

Riflettendo cominceremo davvero ad accorgerci che il “Padre Nostro” è sempre da imparare, e ogni volta da Gesù. Dobbiamo ascoltarlo da Gesù che lo prega con noi. Dobbiamo lasciar prevaler in noi i suoi sentimenti, la sua mentalità di Figlio che vive per il Padre.

Possiamo allora intuire quali sensazioni suscita il nome “Padre” quando lo diciamo con intensità. La sensazione di essere capiti a fondo; lui sa ciò di cui abbiamo bisogno. La sensazione di essere importanti davanti a Dio, come si è ritenuto importante il figliol prodigo della parabola nel momento in cui, tornato a casa, è stato abbracciato dal padre. Se Dio ci permette di chiamarlo Padre, significa che abbiamo grande valore per lui.

E poi la sensazione di poter rivolgerci a Dio con audacia; se è Padre, siamo liberi di parlargli con franchezza.

L’appellativo “Padre” si oppone alla preghiera pretenziosa, che presume di essere esaudita a forza di parole.

Si oppone alla preghiera recitata senza convinzione, sfiduciata, che si trascina in maniera monotona e arida.

Il “Padre Nostro” genera abbandono, scaccia ogni pretesa, nutre l’affidamento.

Preghiera:

O Dio nostro Padre, così abbiamo imparato a chiamarti; così ci ha insegnato il tuo Figlio Gesù!

Aiutaci a comprendere la grandezza di questa rivela-zione e a rivolgerci con fiducia a te nei momenti della gioia e in quelli del dolore, quando siamo ricchi di speranza e quando vince la tristezza, perché tu solo sai sostenere i passi del nostro cammino. Amen

DOMENICA II DI AVVENTO ANNO A

“QUANDO PREGATE DITE…” (Lc 11,2)

PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI SIA SANTIFICATO IL TUO NOME

Dai vangeli sappiamo che Gesù quando menziona Dio lo chiama quasi sempre col nome di Padre.

Il nome Padre è anzitutto usato da Gesù in quella forma che, nella lingua aramaica del tempo, indicava l’allocuzione familiare con cui i bambini chiamavano il papà: Abbà.

E’ un nome tenerissimo, che risveglia un mondo di affetti, di fiducia, di abbandono.

E’ un appellativo che qualifica l’esperienza fondamentale di Gesù. Egli vive il suo essere figlio e ci insegna a chiamare Dio con la stessa parola con cui Lui lo chiama.

Non avremmo mai osato pronunciare il nome Padre se Gesù non ce lo avesse donato.

All’esclamazione “Padre nostro” segue un’aggiunta: “che sei nei cieli”.

Tale espressione non ha soltanto lo scopo di distinguere la paternità divina e universale da ogni paternità umana, ma sta a indicare il cielo come il luogo delle realtà definitive, dove la paternità di Dio si rivela in pienezza.

Quando noi ripetiamo l’esclamazione Padre nostro che sei nei cieli, entriamo nei sentimenti e nei pensieri di Gesù.

Per cercare di capire l’espressione sia santificato il tuo nome ricorriamo a una pagina del profeta Ezechiele:

“Santificherò il mio nome grande, disonorato fra le genti, profanato da voi in mezzo a loro. Allora le genti sapranno che io sono il Signore – parola del Signore Dio – quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi. Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (36, 22-26).

Alla luce della profezia di Ezechiele, possiamo parafrasare l’invocazione del Padre nostro così: Santifica il tuo nome, o Padre, fa vedere che sei buono, che sei forte, che ci ami!

E’ quindi un modo di provocare Dio a rivelare il suo amore per noi e la sua potenza, e provocare noi a non disonorare e profanare il nome Santo di Dio.

Possiamo anche metterla in relazione al secondo comandamento: “Non nominare il nome di Dio invano”.

“Sia santificato il tuo nome” non significa dunque augurare a Dio di progredire nel bene, di diventare più santo, ma chiedergli di rivelare la sua santità attraverso la nostra vita di fede.

SOLENNITA’ DELL’ IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

“QUANDO PREGATE DITE…” (Lc 11,2)

“VENGA IL TUO REGNO”

Venga il tuo regno è come la sintesi dei desideri che animavano Gesù, è il fuoco che aveva dentro; non a caso nei vangeli sinottici la parola “regno” appare almeno una novantina di volte sulla bocca di Gesù. Il venire del regno è un modo concreto con cui viene glorificato il nome santo di Dio; il regno viene mediante il compimento del volere del Padre, come in cielo anche in terra.

Tutte le invocazioni del Padre nostro si collegano tra loro, ma quella del regno è il centro della preghiera, il punto di riferimento. Comprende tutto ciò che è desiderabile, tutto ciò che concerne il piano e il mistero di Dio. A chi gli domandava: “Quando verrà il regno di Dio?”, Gesù rispondeva: “Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!” (Lc 17,21). Il regno venuto con Gesù continua a venire oggi per l’azione dei discepoli, per l’azione della Chiesa mossa dallo Spirito. Il regno viene nella preghiera, nell’eucarestia; ovunque si compie la volontà del Padre. Viene anche nella malattia, nel dolore, nella sofferenza accettati con umiltà. Viene in ogni gioia sincera e in tutti i gesti di condivisione; viene in ogni atto di amore, di verità, di giustizia. Viene quindi fin da ora, anche se verrà in pienezza soltanto alla fine dei tempi, ma “la vocazione dell’uomo alla vita eterna non annulla il dovere di utilizzare le energie e i mezzi ricevuti dal Creatore per servire in questo mondo la giustizia e la pace” (c.c.c. n. 2820). Chi prega con autenticità per l’avvento del regno, opera per il progresso umano, per la cultura, la civiltà, la pace.

“SIA FATTA LA TUA VOLONTA’, COME IN CIELO COSI’IN TERRA”

La volontà del Padre è anzitutto il disegno globale di Dio sull’universo e sulla storia. E’ il meraviglioso disegno per il quale il Padre “ci ha predestinato a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà”, come scrive Paolo nella Lettera agli Efesini (1, 5-6). La volontà del Padre è che tutti noi diventiamo figli in Gesù.

Potremmo dunque dire che la volontà del Padre è il suo amore efficace per noi, è il disegno che Dio porta avanti costantemente operando la nostra salvezza. Questa volontà è fatta anzitutto da Dio; è lui che compie il suo piano di salvezza.

Però anche noi compiamo la volontà di Dio giorno dopo giorno; la sua volontà è pure opera nostra e, in questo caso, l’invocazione è una preghiera perché il Padre sostenga la nostra fragile volontà, perché possiamo adempiere in ogni cosa quanto vuole da noi. Noi quindi chiediamo di saper compiere la volontà divina nel senso della risposta di Maria all’angelo: “Avvenga di me quello che hai detto”, possa io fare la volontà del Signore (Lc 1,38).

Noi domandiamo che quanto si compie già in cielo, si faccia anche in terra, a indicare che ci è dato di imitare qualcosa di ciò che avviene in cielo, di incominciare a fare la volontà del Padre affinché la terra assomigli al cielo, il regno, già realizzatosi in Cristo risorto, negli angeli e nei santi, si realizzi anche tra noi e il disegno di salvezza di Dio si attui in pienezza.

Preghiera:

Il tuo regno, o Dio, è mèta sicura del cammino dell’uomo.

Rendici pronti ad accogliere questo annuncio di vita e di speranza,

così da modellare su di esso le nostre decisioni e le nostre attese.

Guida le nostre scelte perché siano conformi alla tua Parola e scaturiscano da un reale cammino di conversione. Amen

DOMENICA III DI AVVENTO ANNO A

“QUANDO PREGATE DITE…” (Lc 11,2)

“DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO”

Nel linguaggio biblico il pane è il segno di tutto ciò che permette all’uomo di sopravvivere nel cammino dell’esistenza. L’invocazione “dacci oggi il nostro pane quotidiano” occupa nella preghiera insegnataci da Gesù un posto centrale.

Prima ci sono tre domande che riguardano direttamente il Padre che è nei cieli: sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà. Le tre successive alla richiesta del pane, riguardano noi e partono dai bisogni umani: bisogno di perdono, di soccorso nella prova, di liberazione dal male.

Con questa invocazione chiediamo certamente tutto ciò che concerne la vita fisica che fa parte delle nostre necessità di ogni giorno: il cibo, la salute, la casa, il lavoro, ma anche di più: quello che ci consente di continuare a vivere come persone, con la dignità di uomini e di donne, con la nostra caratteristica di affamati di valori autentici, di ricercatori di gioia, di verità e di senso della vita.

Dopo questa riflessione possiamo affermare che per domandare il pane bisogna avere come primo interesse il regno di Dio, la sua volontà, bisogna mettere al primo posto dei valori: la verità, l’amore, la giustizia, nella certezza che quando uno desidera il regno, tutto il resto gli sarà dato in aggiunta (cfr Mt 6,33). In altre parole, questa preghiera, la recita profondamente colui che impegna la propria vita per il regno di Dio e quindi sa che può chiedere tutto e aspettarsi tutto da Dio.

La quarta domanda del Padre nostro è quindi un invito a verificare cosa ci sta veramente a cuore; se è solo il pane, possiamo recitare questa preghiera, ma un po’ dimezzata.

Se ciò che ci sta a cuore sono la verità, l’onestà, la giustizia, la bontà, l’amicizia, allora il nostro ordine dei valori è corretto e la nostra preghiera è autentica.

“RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI”

E’ questa la quinta domanda del Padre nostro, essa chiede la riconci-liazione con Dio passando però attraverso la riconciliazione tra noi.

E’ interessante notare che si invoca non solo il perdono del Padre, ma anche la capacità di riparare il male compiuto, la capacità di saper perdonare. Siamo dunque di fronte alla richiesta di un bene primario sia per la coscienza sia per le relazioni quotidiane. Potremmo infatti avere tutte le ricchezze del mondo, ma se mancano la pace, l’armonia in famiglia, la fiducia tra gli amici, se ci sono offesi e offensori che si guardano con diffidenza e con odio, allora la ricchezza non produce altro che aridità e solitudine.

Nel vangelo secondo Matteo c’è un brano molto chiaro in proposito: “Se perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe”. (Mt 6, 14-15)

In un’altro passo Matteo, afferma addirittura che occorre perdonare non fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Il perdono reciproco è dunque la sostanza della vita quotidiana. Dobbiamo perdonare molte cose, molte persone che ci deludono, quelle che non rispondono alle nostre attese o che ci lasciano soli nel bisogno; dobbiamo continuamente esprimere la riconciliazione per pacificare il nostro cuore. Il perdono è un bene essenziale, intrinseco al cristiane-simo; anzi è un bene senza il quale la vita umana non è pensabile.

Sappiamo tutti che perdonare è estremamente difficile e assai più difficile farsi perdonare. Non a caso il Padre nostro, nella semplice domanda “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo” contiene un implicito riferimento alla richiesta di Gesù sulla croce: “Padre, perdona loro…” (cfr. Lc 23,34). Mentre viene torturato e crocifisso, Gesù trova parole di perdono.

Preghiera:

Dio, Padre nostro, che ti fai carico del cammino dei tuoi figli donando loro il necessario per vivere e per aprirli all’incontro con te, e quando sbagliano sei pronto a perdonare, ti ringraziamo per il tuo amore paziente e misericordioso. Fa che poniamo in te la nostra fiducia e impariamo a essere misericordiosi, perdonandoci a vicenda gli uni gli altri. Amen

DOMENICA IV DI AVVENTO ANNO A

“QUANDO PREGATE DITE…” (Lc 11,2)

“NON CI INDURRE IN TENTAZIONE, MA LIBERACI DAL MALE. AMEN”

L’ultima domanda del Padre Nostro è composta di due parti: “non ci indurre in tentazione” e “liberaci dal male”.

La prima parte della domanda andrebbe meglio formulata con le parole “non permettere che ci lasciamo vincere dal male, che cediamo nella prova”: “male” non è usato nel senso di “disgrazia”, ma di “peccato”; la tentazione indica quindi la possibilità di cedere al peccato.

L’invocazione “non permettere che cediamo nella prova” ci fa dunque capire che Gesù intende parlare dell’unico grande e vero male, quello che comprende tutti gli altri mali: il nostro allontanamento da Dio, nostro unico Bene.

E’ evidente così la continuità tra l’espressione “liberaci dal male” e la precedente “non permettere che cediamo nella prova”.

Il male non è un’astrazione, ma indica una persona: Satana, il Maligno, l’angelo che si oppone a Dio. “Il Diavolo è colui che vuole ostacolare il disegno di Dio e la sua opera di salvezza compiuta in Cristo” (C.C.C, 2851).

Il maligno non ha risparmiato Gesù che, prima di iniziare la sua vita pubblica viene avvicinato dal Diavolo, che lo tenta, suggerendogli di essere Messia mediante gesti di potenza e di dominio, non mediante la via dell’umiltà e della mitezza.

Il fatto che il Maligno con le sue tentazioni accanto a Gesù, durante la sua vita e anche nell’ora della morte, mostra quanto è grande e terribile il male che ci è vicino; ma Gesù vince tutti gli attacchi di Satana, tenendo lo sguardo rivolto a Dio. In questo modo Egli diventa il modello di come si superano le tentazioni che minacciano la nostra salvezza.

Il male più grave è soccombere nella prova, perdere la fede e la speranza: da questo soprattutto chiediamo di essere liberati: come ha protetto e liberato Gesù, impedendo la vittoria definitiva del nemico, il Padre ci salva dandoci la forza di attraversare i mali di questa vita da vincitori nella speranza. Per questo gli chiediamo: “Liberaci, Padre, dal male della paura, dall’angoscia e dalla poca speranza!”

Al termine della preghiera diciamo “AMEN”: con questa parola vogliamo esprimere – come nella tradizione della Chiesa più antica – la nostra piena adesione e il nostro consenso a tutte le invocazioni rivolte al Padre.

Possiamo dire con Sant’Agostino:

“... con il vostro Amen sottoscrivete, acconsentite, definite l’accordo con il Signore”.

Preghiera:

O Dio, che conosci le nostre fragilità e le nostre debolezze, sostienici nelle prove che la vita ci presenta. Noi sappiamo che, sorretti dal tuo aiuto, possiamo sconfiggere il male. Facci percepire sempre la tua vicinanza e il tuo soccorso, così che non ci sentiamo soli o sconfitti, ma pronti a camminare nella speranza. Amen

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- CON IL PADRE NOSTRO GESU’ DETTA “LA CARTA D’IDENTITÀ DEI FIGLI DI DIO”

- "PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI SIA SANTIFICATO IL TUO NOME"

- “VENGA IL TUO REGNO” - “SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ’, COME IN CIELO COSI’ IN TERRA”

- “DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO” -“RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI”

- “NON CI INDURRE IN TENTAZIONE, MA LIBERACI DAL MALE. AMEN”